Barbara Duran

Benedetta D'Ettorre

White Duran Project | Esposizione | Roma 2021

IS land

Questo testo nasce in conversazione con l’artista, la quale mi ha fatto da guida nella scoperta di WHITE e che mi ha portato ad addentrarmi nella serie IS land. Allo stesso modo, per accompagnarvi in questa esperienza, narrerò di immagini, sensazioni, racconterò riflessioni e richiamerò parole e idee. IS land è un viaggio, un viaggio materiale, un viaggio concettuale, un viaggio emozionale. E’ un viaggio, ma è anche tutti i viagg.

Approcciarsi alla serie IS land, significa scontrarsi con la potenza del colore. Le tele, le carte, i legni, i pigmenti e le pennellate si fondono come un tornado che travolge l’occhio, lo risucchia e lo teletrasporta in un’altra dimensione, in un tempo sospeso. Basta una tela per accorgersi della complessità di questo lavoro, ma chi avrà la possibilità di incontrarle tutte potrà addentrarsi in questo viaggio sospeso, passo dopo passo.

Posando lo sguardo sulla prima tela, ci ritroviamo in mezzo al mare. E’ qui che inizia il nostro viaggio. Eccoci: marinai, capitani, timonieri, navigatori imbarcati sulla nave della nostra esistenza. Viaggiatori. Quanto manca?

Chissà,

se siamo arrivati.

Siamo avvolti da una nebbia densa, oscura. L’infinita distesa liquida che ci circonda, diventa densa, corposa.

In viaggio da chissà quanti giorni, forse tutta la vita, è ormai impossibile discernere il tempo.

Forse, è solo il manto della notte che inizia ad avvolgere tutto. O forse è il sole nascente che inizia a liquefare la materia? A tratti il colore diventa denso, corposo ma, allo sguardo successivo, acquisisce assoluta leggerezza. Ecco che il colore assume totale ambiguità: ad una certa ora, quel giallo potente, quel rosso sanguigno, il blu impenetrabile e l’azzurro sottile si fanno acqua, cielo o forse terra. Marrone, grigio, bianco, nero al contempo delineano e oscurano tutto.

Che sia forma? Che sia sostanza?

Potrebbe essere passato un secondo, un momento, forse due anni.

“Così tra questa / Immensità s’annega il pensier mio:/ E il naufragar m’è dolce in questo mare” (Leopardi)…
Eccola finalmente, la vedo. Una figura, un’ombra? Un’isola, forse?

No, una vela passeggera. Altre persone.

In questo mare, nell’esperienza diretta con il dipinto, siamo soli –
tutta la nostra esperienza è individuale.

Eppure, in questa esperienza eterotopica possiamo ritrovarci tutti:
tanto un’illusione, un miraggio, quanto una realtà.

Una cupola? Una città. Forse Venezia,

“Cento profonde solitudini formano insieme la città di Venezia – questo è il suo incanto. Un’immagine per gli uomini del futuro”. ( Nietzsche)

magari l’anelata Itaca.

La nostra imbarcazione è fragile, fatta dei nostri limiti. Ma è robusta, dopo tutto è stata in grado di fronteggiare le peggiori tempeste, barcamenandosi su un mare di affanni.

Siamo noi a muoverci o sono le tele a scorrere sotto i nostri occhi? Dove può lo sguardo appigliarsi per trovare un punto di riferimento?

“Nessun uomo è un’isola completo in se stesso;
ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto.
Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio,
come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua
stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità.
E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona
per te.” (Donne)

—-

La serie IS land dà forma al viaggio incompiuto dell’artista, una serie che assume il suo carattere distintivo nella forza e impeto del colore. Le tinte e le forme rimandano a paesaggi incontrati durante il percorso autobiografico dell’artista; in particolare permanenze e viaggi che ancorano questa serie alle coste del Mediterraneo. Le opere non mostrano una cronologia precisa: in mare è facile perdere le tracce, le orme non si imprimono, e così le opere avvolgono chi le guarda, senza un’apparente conseguenza spazio/temporale. Piuttosto che una successione figurativa, le opere propongono
impressioni di luoghi ed emozioni, tendendo all’astratto con una forza immaginifica. Come se chi, tornando da un viaggio, ci potesse mostrare le fotografie delle sensazioni e delle emozioni provate senza dare coordinate precise; chi si approccia a queste tele segue questo viaggio senza un ordine determinato, infatti non è questo quello che conta ma la potenza dell’immagine. È qui che la tecnica e il colore si aprono ad un uso personale che riesce a catalizzare la mutevole energia del viaggio sulla tela.

La prospettiva si pone in modo ambiguo, giocando in modo dialettico con dicotomie prestabilite – sfocando i confini tra la terra, il mare e cielo – fino ad erodere la rigida separazione tra chi vede il mare dalla terra e chi vede la terra dal mare. Lo spaesamento è altresì amplificato dall’uso dei media volutamente impiegati per confondere la narrazione tra aspetti autobiografici e non. Talvolta servono ad esporre il viaggio personale, e altre volte, attraverso “un lavoro sottile e sapiente di plagio”, come scrive l’artista, seguono come tracce le venature di un legno spiaggiato per raccontarne la storia: “ogni cosa perde il suo senso originario e viene usato a proprio vantaggio, utilizzato secondo media studiati a tavolino per confondere, sottomettere, condizionare”.

Osservando una ad una le opere, ci spostiamo in modo multiforme tra le prospettive, entrando in uno spazio liminale, uno spazio transitorio tra due luoghi: il molo della partenza e quello dell’approdo. Il viaggio umano è esistenziale e sempre di venire, una situazione in cui tutte le variabili continuano a mutare pur rimanendo costanti.

Benché ogni iterazione del progetto sia definita e separata, WHITE è il riflesso di una pratica artistica matura dove molti temi si incrociano e vengono affrontanti in modo diverso. In questo senso, IS land pone fine ad un ambizioso progetto e diventa un invito ad addentrarsi nella complessità di WHITE. Così, in questa ultima serie, ritroviamo lo sviluppo di tutti i temi toccati nel progetto WHITE nella modalità descritta in questo catalogo: “un lavoro di sottrazione nelle sovrapposizioni sensoriali e strutturali che annebbiano l’immagine di oggi”.

I corpi che all’inizio trovavamo solidi e delineati, si sono fatti man mano più eterei, confondendosi tra la tela, il tratto e il colore, fino a che non è il colore stesso ad assumere una propria corporeità attraverso la corposità del pigmento. L’energia del corpo femminile ha trasceso la forma per diventare materia. La forza, la determinazione, il dolore e la sofferenza affrontati in WHITE hanno trasfigurato la figura salvifica della donna in isola, pilone autoportante in mezzo al mare, sola di fronte alle tempeste, fragile ma forte come porto rifugio, terra fertile, approdo sicuro. L’immagine acquista forza come monade nella sua individualità e diventa icona di un’esperienza universale.

Dall’inizio di WHITE vediamo come l’artista si sia messa in ricerca, errando per anni e viaggiando verso nuovi lidi. Ed è così che rappresentando visi, ricordi, miti e tracce di storie, l’artista ha assolto la funzione originale di cantastorie in modo totale, fino a diventare viaggio essa stessa. Osservando la progressiva mutazione del segno utilizzato nelle opere e’ possibile intuire questa condizione esistenziale in divenire dove, pur cambiando i significanti, rimangono costanti i significati profondi. Se dapprima le opere sono la rielaborazione personale di immagini esterne che incanalano le energie esogene dei luoghi e delle persone incontrate, in IS land le opere sono la trasposizione per immagini di un viaggio interiore.

Trasmettendo l’energia endogena di una riflessione autoanalitica, l’arte ci permette in modo vicario di accedere alla soggettività dell’artista. L’energia man mano si accumula in tratti connotati da passaggi lenti, velature e ripetizioni che talvolta si presentano come stesure lievi e leggere. La ricerca diventa ossessiva, generando più di sessanta opere. Altre volte, le pennellate incanalano l’energia concentrandola nella materia, facendo diventare il colore denso e le pennellate impegnative e graffianti. Eppure, mentre questa serie sembra essere definita da un progetto visionario e ossessivo, le opere sono frutto di una progettualità aperta dove, pur avendo un framework definito, il processo di creazione delle opere è plastico e viene modellato dall’intensità dell’esperienza del lavoro fisico che parte dalla costruzione della tela stessa fino ad arrivare alla possibilità dell’ultima pennellata. La tecnica si fa congiunzione e coniugazione tra significante e significato e, più precisamente, tra la materia e la sostanza del processo artistico.

Così, l’isola assume molteplici significati, diventa τέλος, destinazione finale di un’odissea tanto individuale quanto condivisa: il ritorno verso la casa per antonomasia, il νόστος  per ritrovare sé stessi. D’altro canto, le immagini suggeriscono prospettive diverse, chi si trova ancora in viaggio e vede la sua destinazione in lontananza, e chi si trova già sull’isola, o forse quell’isola non l’ha mai lasciata, e guarda l’orizzonte. Da entrambi i punti di vista, si contrastano due sentimenti: il bisogno di infinito che ci mette in ricerca della libertà, e a volte ne dona un po’, e la sua impossibilità, che rende limitante questo bisogno di infinito una gabbia esistenziale, opprimente.

L’isola diventa nostalgia, sfocata come l’impossibilità di definire l’essere: quale sia il punto di arrivo e quale quello di partenza, l’interminabile ricerca di sè stessi, un ritorno intriso di sofferenza.

Ma pur sempre un ritorno…
Anche in IS land è possibile ritrovare echi del pensiero di personaggi incontrati in altre parti di WHITE:

“[…] e noi, noi andremo verso il mare non verso il cielo: quando quest’ultimo ci chiede di arrivare alla fine di una storia, di causa in effetto, fino alla redenzione e alla condanna del nostro vizio, cioè di noi stessi: alla nostra soppressione, mentre il mare ci invita a ritornare al principio di una storia, cioè non solo a essere sempre, beatamente, indifferenziatamente, noi stessi, ma essere anche quello  che  siamo  stati,  di  effetto  in  causa,  dunque,  nel  pieno, continuo calore della vita…”
(Pasolini)

La produzione di IS land sembra aver seguito l’invito al mare di Pasolini, portandoci ad abbracciare il calore della vita e renderle omaggio. Ed è così che ci imbattiamo nell’aspetto politico dell’opera che si esplicita in due elementi principali: l’acqua e l’isola. L’energia accumulata nel viaggio dell’artista viene riversata sulle tele ispirandosi alla forza incontenibile di elementi naturali come l’acqua, la terra, il cielo. In particolare, vediamo lo sforzo di rappresentare la semplicità dell’acqua, che sta alla base del mondo naturale, e il suo intrinseco potere vitale per richiamare altri tipi di forza: la forza di spirito di chi è oppresso ma resiste, il coraggio di chi va in cerca e combatte per la propria libertà, la dignità e tenacia dei più vulnerabili che scuotono il nostro ordine sociale.

Se da una parte intravediamo profili di isole avvolte dall’abbraccio materno dell’acqua, dall’altra   l’isola è usata come metafora dell’uomo per concentrare la nostra attenzione sul valore e rispetto intrinseco della vita stessa. John Donne usa l’isola per esplicitare l’esperienza umana come collettiva “Nessun uomo è un’isola” ma, per definizione, l’isola è isolamento. Nondimeno guardare all’uomo come un’isola acquista di significato, infatti Simone Weil ci ricorda che “Un uomo che fosse solo nell’universo non avrebbe nessun diritto ma avrebbe degli obblighi”. Secondo la Weil un diritto e’ subordinato al riconoscimento del diritto stesso da parte di altri ma verso ogni essere umano sussiste un obbligo “per il solo fatto che è un essere umano, senza che alcun’altra condizione abbia ad intervenire; e persino quando non gliene si riconoscesse alcuno”. Ogni essere umano è considerato nel suo valore assoluto, come fine e mai come mezzo. Per questo, anche quando privato di tutti i diritti, ogni essere umano mantiene l’obbligo del rispetto verso se stesso e i suoi bisogni fondamentali sia materiali che morali come la libertà, la sicurezza, l’uguaglianza. Allo stesso modo, l’isola nell’opera della Duran assume la funzione di promemoria del rispetto che dobbiamo verso ogni individuo e del valore della vita in ogni circostanza, reduce da qualunque viaggio.

In conclusione, il viaggio proposto da IS land si colloca in uno spazio liminale a metà tra quello che era e quello potrebbe essere, sia che la terra sia avvistata che lasciata. Simili alla pratica artistica della Duran, con la sua progettualità aperta, le opere sono immagini aperte. Danno forma a visioni della terra e del cielo, delineando contorni sinuosi di isole avvistate in lontananza che potrebbero essere una realtà, un miraggio o un ricordo. In questo senso, la nave su cui ci eravamo imbarcati all’inizio diventa eterotopia…

La nave è un frammento di spazio galleggiante, un luogo senza luogo, che vive per se stesso, che si autodelinea e che è abbandonato, nello stesso tempo, all’infinità del mare e che, di porto in porto, di costa in costa, da una casa chiusa all’altra, si spinge fino alle colonie per cercare ciò che esse nascondono di più prezioso nei loro giardini, comprendete il motivo per cui la nave è stata per la nostra civiltà non solo il più grande strumento dello sviluppo economico, ma anche il più grande serbatoio d’immaginazione. La nave è l’eterotopia per eccellenza. Nelle civiltà senza battelli i sogni inaridiscono, lo spionaggio rimpiazza l’avventura, e la polizia i corsari.

(Foucault, Dits et écrits, cit. p. 1581)

Per spingerci a trovare la forza di poter gridare finalmente: Terra…

Is land!

Benedetta D’Ettorre

Bibliografia
Leopardi, G. (2010). Canti. Translated by Jonathan Galassi. Penguin Classics.
Friedrich Nietzsche, Aurora e scelta di frammenti postumi (1879–81), fragment form spring 1880, in Opere, ed. Giorgio Colli and Mazzino Montinari, trans. F. Masini and Mazzino Montinari, vol. 5, tome 1 (Milan: Adelphi, 1964), p. 296. Quoted in Manfredo Tafuri, Venice and the Renaissance, trans. Jessica Levine (Cambridge, MA and London: The MIT Press, 1989), p. xi.
Donne, John. The Works of John Donne. vol III. Henry Alford, ed. London: John W. Parker, 1839. 574-5.
P. P. Pasolini, Frammenti per un romanzo del Mare, in P. P. Pasolini, Romanzi e Racconti. Volume primo 1946-1961, Mondadori, Milano 1998, p. 393.). (Mia traduzione)
Simone Weil, The Need for Roots: Prelude to a Declaration of Duties Towards Mankind. Routledge Classics. 2002
Focault, “Des Espace Autres,” Journal Architecture /Mouvement/ Continuité, October, 1984, Translated from the French by Jay Miskowiec.